1
Buzzi e Ricagno,
storiografi del
Sezzadiese,
attribuiscono il
nome di
"Sexadium -
Sezzadio", ad un
presunto centro
abitato nato,
nel secondo o
primo secolo
a.C., distante
sei stadi dalla
Via Aemilia
Scauri. In
origine fu
stazione di
posta e più
tardi divenne
anche presidio
militare. Il
nome del Comune
è stato Sezzè
fino al 1928,
anno in cui
l'amministrazione
locale, con
richiamo alla
voce di etimo
latino, lo
rinominò
nell'attuale
Sezzadio (da
"Storia di
Sezzadio" di
Giuseppe Buffa,
edito a cura
della Cassa di
Risparmio di
Alessandria
1973).
Sezzadio diviene
predicato
integrante il
nome della
famiglia
Faruffini nel
1950, come
pubblicato sulla
Gazzetta
Ufficiale della
R.I. del 26
aprile 1950 pag.
1341, con
sentenza dei
Tribunali di
Lodi del 24
novembre 1950 e
di Vercelli 24
agosto 1951
aditi
rispettivamente
dall'avv.
Giovanni
Faruffini e dal
dott. Giancarlo
Faruffini dopo
l'avvento in
Italia dalla
Repubblica e
relativa
abolizione dei
titoli
nobiliari.
2
Archivio
Frascara - carta
con data
24.12.1480. Il
Casalis, l.c. p.
105, data la
pace al
23.12.1480, data
corrispondente
nell'Archivio
Camerale di
Torino (cfr.
Paesi di nuovo
acquisto - vol.
36, f. 45). E
inoltre estratto
da "Poteri
signorili e
feudali nelle
campagne
dell'Italia
settentrionale
fra Tre e
Quattrocento:
fondamenti di
legittimità e
forme di
esercizio" atti
del Convegno di
studi (Milano,
11-12 aprile
2003), a cura di
Federica
Cengarle,
Giorgio
Chittolini, Gian
Maria Varanini,
2005:
"Filippo
e Luchino
Bernardino
Feruffini
giurano fedeltà
al duca per il
feudo
dell'imbottato
di
vino e grano di
Candia, che
ricevono come
contropartita
per la rinuncia
all'investitura
su Sezzadio,
presso Acqui,
loro terra
d'origine. La
concessione
feudale non
implica
giurisdizione: a
Candia e Villata
è
in carica
per tutto il
periodo
sforzesco un
podestà ducale.
Nel 1462 il duca
concede il dazio
di
v.p.c. di Candia
e Villata e il
pedaggio dei
luoghi e
l'entrata del
porto di Villata
sul Sesia ai
nobili
Confalonieri di
Candia, famiglia
localmente
eminente; il
testo del
privilegio
tuttavia precisa
che già a fine
Trecento i
nobili non
riscuotevano
dazi (e
implicitamente
nega che
avessero la
giurisdizione
sui luoghi). I
Confalonieri,
dopo aver subito
danni da Facino
Cane e confische
da Filippo Maria
Visconti, nel
1451 erano stati
perdonati e
reintegrati- da
Francesco
Sforza. Nel 1470
Filippo
Feruffini,
segretario
ducale, rimasto
unico titolare,
fa ricognizione
per il feudo
dell'imbottato;
altri giuramenti
si
hanno nel 1477 e
nel 1481. Il
feudo passa
successivamente
agli eredi di
Filippo,
Alberto,
segretario
ducale e
Domenico, miles
ierosolimitanus.
Con un arbitrato
del 1492
Domenico accetta
di subentrare
nel feudo in
caso di morte
del fratello
senza eredi
maschi.
Successivamente
le vicende dei
Feruffini si
complicano a
causa di una
vicenda che
coinvolge un
loro parente, e
alla morte
di Alberto
nel nov. 1496 la
camera ducale
decide di
acquisire
il feudo. Pochi
mesi dopo il
duca sembra aver
cambiato idea,
rinnovando
l'investitura al
fratello
Antonio. Nel XVI
secolo i
Confalonieri
giurano fedeltà
a Carlo
v."
3
Di Antonio conte
palatino, esiste
un documento
importante
nell'archivio
Zoppi "Cronica
Terrae Sezzadio":
alla data del 2
marzo 1513 il
Duca di Milano,
Massimiliano
Maria Sforza
Visconti,
conferma ad
Antonio
Feruffini,
cavaliere
gerosolimitano,
il feudo
dell'imbottatura,
del vino e delle
biade di Sezze.
La conferma era
provocata dalla
seguente
supplica (dove
invece di 1448
si data 1459):
"Il
Marchese di
Monferrato,
Signore di
Alessandria,
diede nel 1459
ai fratelli
Giovanni e
Domenico
Feruffini il
feudo costituito
dal castello di
Sezze e dal
paese di
Castespina.
Venuta
Alessandria in
potere del Duca
Francesco
Sforza, fattosi
religioso
Domenico, il
Duca investe del
feudo Giovanni
con l'intesa
della remissione
del feudo stesso
alla sua morte.
Morto Giovanni
lasciando due
figli, Filippo e
Lochino'
Bernardino, il
Duca si valse
del patto e
ritirando Sezze
concesse il
feudo
dell'imbottatura
del vino e delle
biade di Candia
Lomellina. Cosa
confermata dai
seguenti duchi.
Luchino
Bernardino morì
senza prole.
Filippo invece
ebbe più
figli, tutti
premorti
eccettuato il
supplicante
Antonio.
Dopo la morte di
Alberto, ultimo
fratello del
supplicante, la
camera ducale
aveva preteso di
entrare in
possesso del
feudo, atteso
che il
supplicante
Antonio era
cavaliere
gerosolimitano.
Però il
magistrato delle
entrate
straordinarie
riconosceva
all'Antonio il
diritto di
ritenere
il feudo fino
alla morte,
passando quindi
alla Camera
Ducale.
Sennonché, dopo
tale sentenza,
il supplicante
Antonio ebbe due
figli naturali
legittimati:
Giovanni
Francesco e
Filippo. Tenuto
conto che la
concessione del
feudo era fatta
ai maschi e
legittimo
matrimonio nati
dubitando sulla
possibile
successione,
evocando i
meriti degli
antenati e suoi
personali,
supplica il Duca
affinché conceda
che il feudo
passi alla sua
morte ai detti
figli."
IL Duca,
basandosi sui
meriti dei Feruffini verso
la casa degli
Sforza (rammenta
Domenico
Feruffini
segretario
massimo,
Giovanni
senatore
gravissimo,
Filippo padre
del supplicante
"secretarium
fidissimum",
i meriti
dello stesso
supplicante che
rimase sempre
fedele "in his
rerum et
temporum
perturbationibus")
conferma il
feudo come
richiesto. Da
questi fatti è
da ritenersi
l'adozione del
motto "Semper et
fidelius".
4
In provincia di
Ferrara, a
Tresigallo in
località
"Palazzi", è
ancora visibile,
sia pure
fatiscente, un
antico edificio
che si segnala
soprattutto per
la sua alta
torre: è Palazzo
Pio. La sua
costruzione
risale agli anni
1517 - 1531 e il
suo committente
fu il "Magnifico
e generoso
cavaliere e
Conte Messer
Alessandro
Faruffini
Capitano delle
milizie
dell'ill.mo don
Alfonso duca di
Ferrara e
Modena" (da un
documento
originale
dell'epoca).
Questo
"cavaliere" ,
figlio di
Giovanni Luchino
e fratello di
Adornino,
partecipò con
coraggio alla
famosa battaglia
di Polesella del
1509, nella
quale fu
sconfitta la
squadra navale
inviata da
Venezia contro
Ferrara, e per
questo meritò di
essere ricordato
nel XXXVI canto
dell'Orlando
Furioso da
Ludovico
Ariosto, che
aveva assistito
alla battaglia.
Prima di
accingersi alla
costruzione del
palazzo, il
Faruffini, (come
in seguito fu
chiamata la sua
famiglia) aveva
sposato Caterina
Macchiavelli
Dalle Frutta, la
cui famiglia
proveniva da
Firenze ed a
Ferrara era
entrata nella
nobiltà della
Corte Estense.
Verso la metà
del 1600, quando
l'Arcivescovo di
Ferrara era il
Cardinal Carlo
Pio, la Famiglia
dei Principi Pio
di Savoia
(proveniente dal
Principato di
Carpi ed entrata
pure essa nella
nobiltà
estense),
acquistò il
palazzo, che da
allora fu
denominato
appunto "Palazzo
Pio". Sia per i
Faruffini che
per i Pio questo
palazzo
costituiva una
"delizia"
extraurbana,
forse anche
destinata a
punto di
partenza per le
scorribande e
per le puntate
di caccia e
pesca nella
valle attigua.
Verso la fine
del Settecento
alla morte del
principe Giberto
Pio, il palazzo
passò in eredità
alla famiglia
Valcarcel Pastor,
della nobiltà
reale spagnola,
che poi acquisì
anche il nome di
Falcò. Nei
decenni dal 1870
al 1890 Palazzo
Pio fu
acquistato dalla
Società Bonifica
dei Terreni
Ferraresi (S.B.T.F.),
che ne mantenne
la proprietà
fino al
successivo
acquisto da
parte della
famiglia Monesi,
che vi installò
un apprezzato
mulino.
Attualmente i
proprietari del
palazzo sono i
fratelli
Matteucci di
Ferrara.
5
Qui accadde un
fatto strano
sovente citato
da mio padre.
Dopo un'ennesima
marcia forzata,
era da pochi
giorni nel Campo
di Lukenwald
proveniente da
Pshemiz in
Polonia, prima
di coricarsi sul
pagliericcio
consegnò al kapò
una lettera da
inoltrare,
tramite CRI, a
Milano (l'Italia
era spaccata in
due, dei suoi a
Roma non sapeva
nulla da tempo
come loro di
lui, mentre da
Milano nonni e
zie riuscivano
ancora a fargli
pervenire loro
notizie e
qualche pò di
cibo). In piena
notte venne
svegliato dai
vicini di branda
perché stava
parlando ad alta
voce nel sonno:
si ritrovò
stranito perché
conscio di
essersi trovato
col nonno
Vittorio al
quale aveva
chiesto "ma
nonno che ci fai
tu qui, siamo in
Germania, come
hai fatto ad
arrivarci ?" e
lui gli aveva
risposto "sono
venuto a
salutarti
Giancarlo; sta
tranquillo che
presto tornerai
a casa, ma io
dovevo salutarti
ora". Non
riuscendo più a
riprender sonno
ricominciò a
scrivere e
consegnò poi al
kapò anche
questa seconda
lettera, dove
narrava a nonni
e zie quel
vividissimo
"sogno"
indicando anche
l'ora del brusco
risveglio. Dopo
alcuni giorni
ricevette una
lettera da
Milano in cui
gli si diceva
che proprio
quella notte a
quella stessa
ora, il nonno
Vittorio era
mancato
pronunciando il
suo nome.
6
Al grido di
"abbasso
l'avvocato dei
popolari" gli
piombò in casa,
mettendo tutto a
soqquadro,
compresi alcuni
mobili
letteralmente
gettati dalla
finestra, una
squadraccia di
giovani
facinorosi
pronti a fargli
bere l'olio di
ricino,
ma...l'avvocato
quel giorno era
fuori sede per
cui, oltre ai
mobili rovinati,
non ci furono
altre
conseguenze,
salvo lo
svenimento della
povera nonna
Carmen, in mezzo
a due bambini
terrorizzati.
7
Il Magistero,
istituto ora non
più esistente,
da non
confondere con
le tuttora
vigenti
magistrali,
consentiva alle
donne
l'insegnamento
letterario nelle
scuole superiori
dell'epoca,
nonché la
professione
presso studi
professionali o
Enti Pubblici
che a quei tempi
iniziavano ad
assumere le
donne.
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